Industriarsi tutti per diventare industria

di Milly Buonanno

È ben noto come operatori e osservatori delle industrie culturali e creative concordino nel riconoscere come gli andamenti di questi settori siano fondamentalmente regolati dal principio del “nobody knows”. Dichiarare la totale imprevedibilità dei trends è forse più prudente che realistico; è vero però che i processi evolutivi delle industrie televisive, in particolare, sono spesso caratterizzati da traiettoriemutevoli, ondate irregolari di flusso e di riflusso. Ancor più nelle fasi di grande trasformazione, come quella attualmente in corso, che sta ridisegnando la configurazione dei sistemi televisivi nella nuova ecologia mediale, e pluralizzando le piattaforme di distribuzione e le pratiche di fruizione dei contenuti – sullo sfondo della fase recessiva dell’economia mondiale.

La vicenda più e meno recente della fiction italiana si iscrive appunto in questa alternanza di “ebbs and flows”, flussi e riflussi: dalla scarsità dei primi anni novanta, alla crescita sostenuta della produzione e del consumo nell’arco di un intero decennio – dal 1996 al 2006 – alla contrazione dell’offerta e degli ascolti che, deludendo le aspettative di consolidamento se non di ulteriore espansione, ha preso a manifestarsi nell’ultimo triennio. Il genere fiction in sé, ovvero la funzione narrativa della televisione e la sua capacità di creare valore culturale ed economico per le reti televisive, non è in discussione né in Italia né altrove. Ma che la fiction italiana si trovi oggi in una impasse critica potrebbe difficilmente essere negato. E altrettanto difficilmente potrebbe essere smentito il dato di fatto che le maggiori criticità si addensano nella zona strategica della ideazione e produzione di serialità: qui, soprattutto, offerta e ascolti sono in calo, con le dovute eccezioni.

Nella misura in cui è riconducibile a circostanze contingenti e non a mutazioni sistemiche – com’è in buona parte il caso della frammentazione delle audiences – l’attuale fase di flessione sollecita una considerazione seria, premessa di intenzioni e azioni risolutive. Un allarme eccessivo sarebbe tuttavia fuori luogo. E non perché lo suggerisce lo schema dei flussi e dei riflussi. Ma per la più solida e convincente ragione che niente come una bella storia e una fiction ben fatta, seriale o non seriale, richiama i pubblici (e i pubblicitari). Impegnarsi a risollevare le sorti della fiction italiana è semplicemente nell’interesse di tutti.